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martedì 3 giugno 2008

Il genio dagli occhi tristi

Yves Saint Laurent se n'è andato. L'ultimo puro genio, l'artista, il provocatore ha lasciato un mondo a cui da tempo non apparteneva più.
Ho lavorato per lui. E ha lasciato il segno. Un segno importante, decisivo, specialissimo. A venticinque anni, fresca di Master e con tanto entusiamo, fui chiamata a curare le Relazioni Esterne della filiale italiana della Divisione Parfums. Dopo due mesi mi fu affidato anche il marketing delle fragranze, “core business” dell’azienda.
E’ cominciata così la mia avventura professionale, scaraventata in un mondo dorato e scintillante dove pareva non esserci spazio per la debolezza e ancor meno per l’umanità.
Eppure era proprio l’umanità di quest’uomo che si respirava nelle stanze di Palazzo del Drago a Roma, con la moquette e le pareti rivestite di boiserie, quasi che non si dovesse far troppo rumore per “non disturbare”.
Consideravamo una fortuna che lui fosse l’unico dei grandi stilisti ad essere ancora vivo. Un genio in carne ed ossa, di cui aspettavamo le collezioni per vedere come cambiava il mondo attraverso i suoi occhi.
Conoscevamo la sua storia, ma soprattutto sapevamo che non c’entrava niente con il business creato intorno al suo nome. Lui disegnava e basta, chiuso nelle sue stanze e nei suoi pensieri, e tutta l’azienda era lì a proteggere quest’uomo fragilissimo dalle brutture del business. A quello pensava Pierre Bergé.
Che non fosse attento al business lo dimostra tutta la sua storia.
Rivoluzionario e provocatore, come tutti i geni aveva il dono di andare “dritto al punto” e poteva permettersi di dare scandalo. Nel 1971 ha posato nudo per “Homme” il suo profumo. Nel 1977 ha lanciato “Opium”, una fragranza che nessuno è riuscito a eguagliare, con il flacone rosso lacca di forma simile ai cestini in cui si ripongono le bacche di oppio. Dopo trent’anni è ancora lì.
Nel ’93 la società è stata venduta al gruppo Sanofi, l’inizio della discesa e la fine della mia esperienza con loro. Nel '99 è arrivato il gruppo Gucci, la multinazionale, il business galattico. Niente a che vedere con lui, che si è fatto ancora più indietro dichiarando di sentirsi ormai estraneo a un mondo "quello della moda, che trovavo orribile". Bergè era d’accordo: "tutto è ormai troppo commerciale, manca la vera creatività".
La sua trasgressione più grande è stata quella di rendere pubblici la sua fragilità e il suo tormento oltre alla sua vocazione.
In un mondo fatto di apparenza e di finta allegria, lui non si è mai nascosto, si è mostrato fragile ed esitante, la camminata incerta sulle passerelle, tenuto per mano, lo sguardo stupito e confuso di un bambino a cui è stata fatta una festa a sorpresa.
Nel 2002, alla chiusura della Maison, ha scritto una lettera-testamento, il manifesto di una vita fatta di altissima ispirazione e di altrettanto profonda sofferenza: "Ho sempre vissuto per questo mestiere, l'ho sempre amato e rispettato fino in fondo.
La moda non è un'arte ma ha bisogno di un artista per esistere, gli abiti sono sicuramente meno importanti di musica, architettura e pittura, ma era ciò che sapevo fare e che ho fatto, forse, partecipando alle trasformazioni della mia epoca".
"Oggi non si lavora più solo per rendere le donne più belle ma anche per rassicurarle. In molti soddisfano i fantasmi del loro ego attraverso la moda, mentre io ho sempre voluto mettermi al servizio delle donne, servire i loro corpi, i loro gesti, le loro stesse vite".
"Ho conosciuto quei falsi amici che sono i tranquillanti e le droghe e la prigione della depressione e delle cliniche. Faccio parte di quella che Marcel Proust chiama: "la magnifica e lamentosa famiglia dei nevrotici".
Ho deciso di parlare di lui oggi perché glielo devo. Perché grazie a lui ho imparato da subito a distinguere il business dalle persone, i target dall’umanità, il valore commerciale da quello umano.
E mai come adesso, che questi “distinguo” sono diventati un imperativo anche per chi finora ha cercato di ignorarli, sento il dovere di dargli atto di aver, ancora una volta, anticipato i tempi e testimoniato quanto sia vuoto e insignificante il business senza umanità.

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